Evidences
Educazione alla salute: uno stato di Benessere Totale

Cancro del collo dell’utero: la riparazione di un conflitto di separazione

Del Dr Eduard Van den Bogaert

Propositi raccolti da Bernard Deloupy

Lo sappiamo, le malattie sono tutte multifattoriali. Esaminiamo dunque insieme i diversi fattori che entrano in gioco nella genesi di un cancro del collo dell’utero.

Per cercare di decodificarne il significato, vi propongo di seguire qui l’approccio in nove livelli della piramide di facilitazione della guarigione che mi è molto cara.

« In Europa, ogni 18 minuti una donna muore di cancro dell’utero » rumoreggiava una campagna pubblicitaria di un celebre laboratorio farmaceutico, presentandolo oltremodo come un problema di maggiore salute pubblica ben superiore all’ effettiva realtà epidemiologica oggettiva corrispondente, salvo se si includevano i paesi dell’Europa dell’Est.

La storia dell’ assunzione del vaccino del cancro al collo dell’utero è semplicemente una conseguenza di una vasta campagna di marketing, seguita da quella delle pratiche abusive dell’industria del tabacco: si è trasformato un materiale grezzo, il gruppo delle donne in età di procreazione, in consumatrici di vaccini, giocando sulle loro emozioni.

Da un punto di vista strettamente medico e scientifico, la vaccinazione non si rivelerebbe necessaria per i ginecologi, prima di questo reale lavaggio del cervello, innescato dalle campagne di marketing.

In effetti, nei paesi occidentali dove le donne erano ben seguite dai loro ginecologi, essa non apportava assolutamente benefici supplementari.

In Inghilterra e negli Stati Uniti, la fornitura proposta alle donne di un Pap Test del collo ogni tre anni, ha offerto a questi paesi un tasso di cancro estremamente basso.

Ma, attraverso un’ abile lobbismo politico ed una manipolazione dei media femminili, è stato innescato un senso di colpa nelle madri, considerate come delle criminali dalla società ed addirittura dalle loro stesse figlie se non procedevano con la vaccinazione di queste ultime. Si è fatto credere che si trattasse dell’interesse dei pazienti, mentre che non era altro e soprattutto, quello dei laboratori e dei loro azionisti.

Primo livello: L’ambiente

L HPV (Human papillomavirus) è un virus del DNA appartenente alla famiglia dei papovavirus di cui se ne distinguono, oggi, tra le 50 e le 100 tipologie. Questo virus affetta le cellule epiteliali della pelle e delle mucose, genitali ed anali per esempio. Innesca delle proliferazioni cutanee-mucose, spesso benigne, ma a volte maligne.

Un individuo su tre in periodo di attività sessuale, sarebbe attualmente infettato da un HPV.

Il rischio di trasformazioni maligne delle lesioni è aumentato nei malati immuno-soppressi o depressi, come per esempio le persone sieropositive. L’HPV crea quelli che si chiamano condilomi, delle verruche uro-genitali, delle creste di gallo e delle vegetazioni veneree. Ci si è resi conto che esistono quattro tipologie di HPV che favoriscono il cancro del collo dell’utero, come i C16 e C18.

La localizzazione corporea è allocata in fondo alla vagina, laddove il collo dell’utero crea emergenza. I fattori di rischio sono l’omosessualità e i partners multipli.

Il tasso di HPV oncogenetico nei prelievi normali aumenta sino al suo massimo sino a 25 anni con caduta al suo minimo a partire dai 35 anni quando l’incidenza del cancro del collo è la più elevata.

Le HPV di tipo oncogenetico, cioè quelle che possono generare dei cancri, sono più frequenti delle altre, nell’ambito delle infezioni. Ma la maggioranza di queste infezioni sparisce naturalmente in un anno. In alcune persone, l’infezione HPV oncogenetica persiste e può concludersi con lo sviluppo di un cancro della cervice o del collo.

Bisogna dunque riflettere sugli altri fattori che possono influire sulla persistenza dell’ HPV ed aumentare il rischio di cancro del collo.

Si può constatare un’infezione simultanea di più tipologie di HPV ed in questi casi ciò può aumentarne la persistenza. Attualmente, si considera cresciuto il rischio dei tumori HPV di tipologia 16 e 18 – soprattutto - (nel 71% dei casi), ma ugualmente 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68, 73 e 82. Ed, a più debole rischio di tumore, le tipologie 6,11 ,40 ,42, 43, 44, 54, 61, 70, 72, 81 e CP 6108.

La maggioranza delle infezioni HPV sono state constatate all’incirca all’inizio della vita sessuale.

Nella maggioranza degli studi si assiste ad un abbassamento della frequenza del HPV con l’età.

La frequenza delle infezioni sembra al massimo nelle donne di meno di 25 anni ma aumenta nuovamente nelle donne dai 30 ai 44 anni in Europa dell’Ovest e di più di 55 anni nei paesi emergenti, dove se ne nota lo sviluppo. Sarebbe interessante riflettere su ciò che crea questa ripresa dell’attività nelle madri al momento in cui le loro figlie sono nella fascia di età a più alto rischio. Quindi questa campagna pubblicitaria ha preso di mira le madri le cui figlie avevano meno di 25 anni. E la frequenza dell’HPV C16 che è quella che ritroviamo più frequentemente nei tumori cervicali e che si è più espansa nel corso degli ultimi decenni.

Molti sono i fattori determinanti l’accresciuto rischio di infezioni che sono stati identificati, come il numero di partners sessuali, il tabacco e l’utilizzo di una contraccezione orale, ma restano delle incoerenze tra le conclusioni dei diversi studi al riguardo.

La pubblicità delle industrie parmaceutiche che dichiara che < in Europa muore di cancro dell’utero una donna ogni 18 minuti > è falsa. Queste cifre non corrispondono assolutamente a ciò che l’Europa dell’Ovest, dove la diagnosi dei rischi di tumori ginecologici nelle donne è ottimale e per le quali la vaccinazione non ha apportato nessun ulteriore beneficio .

Per contro, questa cifra è ottenuta grazie al tasso estremamente importante di displasie del collo che non sono ancora sinonimo di cancro, osservate nei paesi dell’Europa dell’Est, dove si è notata un’esplosione di turismo sessuale dopo la caduta della tenda di ferro. Paesi nei quali le madri che si vedono abbandonate dai loro mariti si ritrovano spesso senza aiuto finanziario legale e lottano per collegare i due estremi.

« Se la maggioranza delle donne aventi un’attività sessuale può essere infettata dal virus HPV, solo una minoranza tra loro svilupperà un cancro del collo dell’utero dopo un tempo di svariati anni, in quanto questo processo tumorale necessita di co-fattori conosciuti quali la carica virale, lo stato immunitario, la contraccezione ormonale prolungata o una predisposizione genetica. L’ infezione a-sintomatica di questo virus interessa circa il 10% della popolazione generale ed il 25% donne giovani. Di conseguenza, la presenza dell’ HPV risulta essere di più un marcatore dell’attività sessuale che non una stigmata della lesione cervicale. Il periodo di incubazione è di 6 mesi per le lesioni condilomatose ma è stato osservato un lungo termine tra l’infezione virale e l’inizio del cancro invasivo » (Fonte: « The epidemiology of human papillomavirus infections » (Janet G. Baseman, Laura A. Koutsky – UW HPV Research Group – Journal of Clinical Virology 32S (2005) S16-S24)

Secondo livello: I comportamenti interni

Sino all’ 80 % delle donne sessualmente attive saranno infettate da un virus HPV ad un certo punto della loro vita. La maggioranza tra loro eliminerà il virus senza nessuna manifestazione clinica. Una debole percentuale delle donne infettate dall’ HPV presenterà una progressione sino ad uno stadio di cancro invasivo. Perchè certe donne avranno uno sviluppo del virus ed altre no? Qual’è il conflitto che esse avranno per sviluppare un’infezione se non più conflitti? Ed eventualmente in un tempo ritardato un cancro del collo dell’utero?

Lo scopo del rapporto sessuale è che la pelle del glande peniene entra in contatto con la pelle invaginata o mucosica vaginale ricoprente il collo dell’utero.

In termini di comportamento, è una patologia collegata ai contatti sessuali.

Più ve ne sono, più si creano opportunità, non solo per l’oggettivo essere in contatto con il virus, ma di essere con un partner con cui il contatto amoroso si svolge male o non si riesce a vivere come si vorrebbe.

E dunque questa comunicazione amorosa tradurrà qualcosa a livello fisico, una micro-ulcerazione del collo dell’utero per aumentare l’effetto di ventosa del collo sul glande, grazie a delle minuscole piccole cupole paragonabili a quelle degli insetti per riuscire ad attaccarsi ai vetri o ai soffitti. La funzione biologica della pelle del collo uterino è quella di incollarsi il più possibile alla pelle del pene dell’uomo che la donna vuole trattenere in se, nel suo letto e nella sua vita.

Di fatto, per molte donne, come per le leonesse, perdere il loro maschio equivale a cadere nell’esclusione e spesso nella precarietà, come numero di famiglie monoparentali.

La diagnosi del cancro del collo dell’utero è vitale dal punto di vista medico, ma non rivela l’ integralità delle lesioni precancerose nè previene tutti i tumori del collo uterino.

La diagnosi precoce ha permesso ai ginecologi di ridurre la mortalità collegata a questo tumore. Essa permette di identificare con successo le cellule anormali e precancerose. Il tasso d’incidenza del cancro del collo per 100.000 donne è da circa 20 a 30 nei paesi occidentali dove sia il seguito che la diagnosi sono ben realizzate, praticamente per tutte le fasce di vita. Per contro, nei paesi dove il seguito e la diagnosi non sono ben organizzate, come il Brasile, per esempio, il tasso d’incidenza per 100.000 donne aumenta con l’età e può arrivare praticamente a 120 a 70 anni, anche 6 volte di più. Queste cifre, anche se ogni tumore è deplorevole, non hanno niente di allarmante in sé.

La presenza dei virus HPV non permette dunque di concludere che essi sono la causa del cancro e della mortalità.

Delle tipologie di HPV oncologiche e non-oncologiche possono essere osservate in presenza di anomalie minori di cellule cervicali e sono chiamate lesioni intra-epiteliali squamose a basso grado (LSIL). Nella maggioranza delle lesioni intra-epiteliali squamose ad alto grado (HSIL) e dei tumori, si ritrova la presenza dell’HPV oncogeno. Si constata che il passaggio da una LISL ad una HSIL è più frequente in caso di infezioni resistenti. Da uno a due terzi dei casi, l’infezione HSIL progredirà verso un tumore cervicale invasivo in assenza di trattamenti o di presa di coscienza e conseguente cambiamento radicale del modo di vivere e in particolare sessualmente.

Il tumore cervicale, chiamato carcinoma in situ, può in seguito divenire invasivo.

Terzo livello: Le (in)capacità

Quando una donna è incapace di tenersi un uomo così come se questo fenomeno si ripete, essa avrà dei partners multipli. E si crede che è ciò che aumenta l’opportunità di essere infettata dal virus, mentre in realtà la capacità della displasia del collo è quella di incollarsi meglio, a ventosa, per conservare il sesso dell’uomo. Il cancro del collo uterino è una fase di riparazione di queste ulcerazioni, un po’ come un processo di riparazione di una ferita, la crosta, o di una frattura, il callo, che spesso si riassorbono spontaneamente, salvo se la donna continua a ripetere il suo conflitto.

Ciò che serve quando « non si incolla » nel nido con il suo uomo e che sfarfalleggia con altri uomini o che lui sfarfalleggia con altre donne. (in francese papillon è farfalla) Diviene quindi un papill-uomo o uomo-papillon (lett. Il farfalleggiare un uomo o un uomo farfallone).

La maggior parte delle donne guarisce spontaneamente da una infezione di HPV nel giro di qualche mese. Dunque ivi comprese quelle del 75% che lo vivono con dei virus HPS oncogeni.

Quarto livello: Il risentito conflittuale, l’infedeltà

Non è dunque il fatto di avere partners multipli che è in sè all’origine dell’oncogeneticità, bensì il fatto della ripetizione del conflitto quando non si incolla con il proprio partner a livello sessuale, affettivo o per tutt’ altre ragioni e che emerge quindi un sentimento di insicurezza rispetto a quella determinata relazione. Avremo quindi una proporzione molto più grande di casi nelle donne che si devono prostituire o che hanno dei numerosi partners.

Se una donna persiste a fare tutti i giorni la stessa cosa a livello amoroso e sessuale con i suoi partners, non si « incollerà » e lei non potrà avere una relazione durevole. Durerà invece in lei l’infezione giacchè il conflitto viene riattivato in maniera permanente. Con un’infezione persistente ed un HPV oncogeno, si potrà veder apparire, ad un certo punto, il cancro al collo dell’utero. E più generalmente al momento in cui esse saranno riuscite finalmente a realizzare una relazione « che incolla »!

Molti altri conflitti spiegano questo risentito:

  • Una frustrazione sessuale associata al conflitto di territorio per inadempienza.
  • Una svalutazione con sentimento di impotenza di non essere capace di condurre un rapporto sino alla gravidanza o di condurre una gravidanza sino a termine, come nel caso, ad esempio, di apertura precoce del collo. Il collo è in effetti colui che permette di captare lo sperma ma ugualmente di contenere il bambino nell’utero durante tutta la gravidanza.
  • Una brutta dipendenza relativa al partner che è troppo indifferente o troppo premuroso.
  • Una frustrazione affettiva a causa di paura dell’abbandono, della separazione.
  • Il conflitto di frustrazione sessuale dell’amante accreditata, che non riesce a tenersi l’uomo solo per lei, a mettersi « à la colle – incollata » a lui. Un conflitto di non potere accogliere, raccogliere il sesso e lo sperma dell’uomo, come pure il timore di non poter essere posseduta per appartenergli in esclusiva.
  • Un conflitto di non poter conciliare femminilità e piacere sessuale associati alla prostituta e maternità associata alla santa. In effetti, il collo separa la vagina dall’utero.
  • Detto ciò, vero è che separa ma nel contempo egli è il collegamento tra i due. Ed è per questo che quando la bambina diviene potenzialmente madre e quando la madre non lo è più, ci si trova sempre in un passaggio tra i due periodi, la pubertà e la menopausa. Di fatto, i colli, sono dei passaggi.

Quinto livello: Le credenze e i valori

La pubblicità dei laboratori declama che: « Nessuna donna ne è indenne ». E anche se il preservativo protegge contro le verruche e i condilomi uomini e donne, lo stesso non sembra proteggere dall’infezione dell’ HPV.

Infatti il preservativo impedisce il contatto tra la pelle del glande e la mucosa del collo dell’utero.

Ora , la funzione di questo contatto è la procreazione, la vera unione tra un uomo e una donna che fondano una coppia ed una famiglia con dei figli.

Quindi la ragione per la quale la si vede apparire nelle giovani donne, è che esse sognano di incontrare il principe azzurro, di sposarlo, di mantenere il contatto con il suo pene ed il loro stesso collo uterino, di far sì che si incontrino ovulo e spermatozoo grazie al contatto sessuale fecondante e di aver molti bambini.

Questo stress appare nelle giovani ragazze che temono di non trovare dei genitori (progenitori). Come pure nelle donne al momento della pre-menopausa che pensano che non avere più le mestruazioni significhi spogliarsi della loro femminilità, quando invece, molto semplicemente, non hanno più la proprietà biologica di procreare e di essere madri. La capacità primaria del collo dell’utero è quella di accogliere lo sperma che « si incolla ».

E’ in genere durante la crisi della cinquantina che il marito si mette a sfarfalleggiare. Precisamente nel momento in cui i figli decollano nella vita, prendono il volo dal loro nido. Dove le mestruazioni della donna si fermano. E che esse credono di essere meno inclini a fare l’amore con il proprio marito, ciò che accade sovente in questi momenti. Esse avranno dunque paura di perdere il loro uomo. Che è ciò che spiega perchè il rischio di fare un papilloma virus a questa determinata età aumenta.

Oppure, non sentendosi più donne, esse stesse si metteranno a sfarfalleggiare verso la cinquantina, visto che dubitano delle loro capacità di donna di riuscire a conservare un contatto sessuale soddisfacente nel nido coniugale.

Il papillomavirus è il virus delle verruche. Cio’ serve ad aumentare l’aderenza, come il tacchetto di una scarpa da calcio. Ecco perchè il papillomavirus aumenta l’aderenza, sia attraverso un effetto ventosa, sia attraverso un effetto rampone. Il cancro del collo dell’utero è una specie di rampone speciale per cercare disperatamente di conservare l’uomo.

Nel linguaggio degli uccelli, verruca si legge (fr. verrue – vers la rue) « verso la strada ».

Rappresenta il conflitto delle donne che hanno paura di prendere la porta verso la strada. Come pure la « rue » è una pianta, ruta graveolens, una grande pianta abortiva utilizzata anche in omeopatia per coloro che credono di non riuscire ad « innalzarsi in aria » con l’uomo della loro vita e che hanno abortito dei figli visto che non « incollavano ». E’ anche una relazione amorosa di una donna e madre che non ha potuto decollare. Ora, la menopausa, è la fine della maternità, non della femminilità. Al contrario di come viene comunemente vissuta è invece il momento privilegiato dove la donna può acquisire un nuovo sviluppo sessuale con suo marito, senza dover assumere dei contraccettivi, eventualmente abortire un figlio o sprofondare nel tabagismo per compensare lo stress di essere incinta.

Altre credenze e valori spiegano il cancro del collo dell’utero:

  • E’ attraverso la pancia (nutrimento e sesso) che si trattiene il proprio uomo fedele a casa.
  • Dai 30 ai 44 anni, le donne nubili, con o senza figli, che sono state lasciate o sono infelici in coppia, si credono nulla e vivono una DEVALORIZZAZIONE di essere comunque separate dall’uomo.

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Caso clinico N°1

Marie: Conflitto di separazione e svalorizzazione

Marie è l’amante nascosta di un uomo con il quale ama molto fare l’amore. Dopo la morte del suo amante, di cui viene a conoscenza alcune settimane più tardi rispetto all’evento, essa sviluppa un grosso cancro emoraggico del collo dell’utero. Al consulto medico, la misura dello stesso è di 9 centimentri di diametro e riempie completamente la sua vagina. Marie rifiuta tutti gli interventi.

Durante l’anàmnesi mi rivela di soffrire di una Turbe Ossessivo Compulsiva: non riesce ad evitare di raccogliere tutte le scatole che trova e che ammassa dal pavimento al soffitto, al punto che ha problemi a muoversi nel suo appartamento.

Osservando a livello kabalistico trovo l’anagramma della scatola (fr. boîte = scatola) è « o bite! » il pene.

Marie arrossisce e mi rivela che dalla morte del suo amante è ossessionata dal pene degli uomini e che nei mezzi pubblici osserva le patte dei pantaloni degli uomini, sperando di trovarne una aperta. La funzione simbolica di queste scatole, la vagina ed il fatto di parlarle dei peni che simbolicamente sogna di accumulare fanno sì che riusciamo a decodificare che ha innescato un enorme conflitto di separazione dal contatto di quel pene, durante le settimane dove lei non comprendeva perchè lui non chiamasse più e si domandava se era stata lasciata, gettandola in una profonda auto-svalutazione. Questa comprensione le ha permesso di accettare i trattamenti allopatici.

Si fa quindi operare e segue un ciclo di chemioterapia, con grande sorpresa dell’oncologo che, visto il suo stato, considerava queste cure come palliative, mentre con la chemio ha avuto un tasso di risposta estremamente elevato. Ha anche potuto seguire una cura di radioterapia in seguito alla quale è stata dichiarata in remissione.

Ha ripreso in mano il corso della sua vita e da 6 anni ad oggi non ha mai avuto recidive, né metastasi. Quando ha realizzato il collegamento tra quanto aveva sentito e pensato lei, in seguito alla sparizione del suo amante e avendo poi potuto percepire la situazione altrimenti, è uscita dalla sua disperazione e dal suo stato di impotenza. La voglia di vivere batteva nuovamente nel suo cuore.

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In egual misura, per ritornare alle prostitute, esse accumulano i rapporti sessuali proseguendo nella speranza di potersi comperare, un giorno, una vita migliore. O potersi creare anche un nido con l’uomo che amano, con il quale potrebbero avere dei bambini. Siccome nella maggioranza dei casi non lo riescono a realizzare, innescano dei tumori al collo dell’utero. Questo è in parte il motivo per il quale assistiamo ad una effettiva epidemia nei paesi dell’Europa dell’Est.

Sesto livello: L’identità

Ne troviamo di molte maniere: La displasia del collo uterino, il cancro ed il papilloma del collo dell’utero.

Settimo livello: Il progetto

Lo scopo dell’apparizione del cancro del collo dell’utero è che ciò « in-colla » sessualmente e affettivamente con l’uomo per assicurare la prosecuzione della specie, ciò che passa attraverso la costruzione di una coppia fedele, evoluta che da’ la vita a dei figli.

Ottavo livello: Il (buon) senso

Il senso di questa patologia è di far prendere coscienza alle donne, nella loro genealogia, perinatalità ed il loro vissuto personale, di tutti i fattori che nel passato han fatto credere loro che non poteva essere (in-collare) tra gli uomini e le donne, nella vita, nel senso che non avrebbe mai funzionato.

Il buon senso si esprime nell’essere all’ascolto di ciò che si vive sessualmente ed affettivamente in seno alla coppia e di procedere ad un regolare controllo ogni 3 anni per verificare la salute, l’involuzione spontanea più frequente o l’evoluzione verso il cancro che richiede quindi una presa in carico a livello medico. Ciò non esclude, ben inteso, il proseguire con i cambiamenti di credenze, di risentiti e di comportamenti patogeni.

Nono livello: La saggezza da trasmettere

« Attacca due uccelli l’uno all’altro. Ben che valgano quattro ali, essi non voleranno più » dice un proverbio cinese.

La saggezza che ci trasmette l’avvento di un cancro del collo uterino è che l’amore è l’unione di due libertà, attraverso un chiaro e muto consenso.

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Caso clinico N° 2:

Eva: La comprensione di sé trionfa sulle divisioni

Eva ha 37 anni, viene in consulto per una displasia del collo dell’utero al 3° stadio. Ha rifiutato l’atto chirurgico proposto e cerca altre vie.

Il colmo è che qualche tempo prima, la casa farmaceutica per la quale Eva lavorava, l’aveva incaricata di promuovere il vaccino contro il cancro del collo dell’utero. Dopo aver studiato il prodotto e questa patologia sotto tutti i punti di vista, seguito il piano DI marketing promozionale decide di dare le proprie dimissioni con slancio d’animo ed in tutta coscienza.

Il sisma che ne deriva non tocca solo la sua vita professionale, scuote bensì anche il piano familiare.

Il suo divorzio sta andando male e la ricostruzione familiare è difficile. Eva ha tre figli, Karl, Paul e Lili. Thomas, il suo nuovo partner, ne ha due, Emmanuelle e Florence. Queste ultime due non sopportano l’ arrivo di Eva e lo esprimono chiaramente.

Entrambi gli ex dei due partners montano la testa dei rispettivi figli, come spesso accade.

I conflitti istigati avvelenano l’atmosfera familiare. Si instaura quindi un’alienazione familiare.

Thomas, il suo nuovo compagno, è un uomo d’affari rinomato. Numerose donne sfarfalleggiano intorno a lui e usano dei sutterfugi per sabotare la loro unione.

Il padre ed i due fratelli di Eva non vogliono più vederla nè aiutarla, condannandola per le sue scelte.

I genitori di Thomas, da parte loro cercano di convincere il figlio a lasciarla, ovviamente a sua insaputa.

Ciò che la mina di più è che Thomas non realizza che sia le sue figlie che le altre donne usano sutterfugi per cercare di dividerli. Peggio, gli accade di dubitare di lei. Egli ha la tendenza a considerare Eva come la matrigna gelosa e crede che lei stia male perchè non riesce a riprendersi dal suo divorzio e per la vita professionale…

Questa situazione risveglia in lei un sentimento d’ingiustizia, di tradimento e di angoscia. Questi attacchi disincantano la loro relazione di coppia. Essa crede che questi distrattori riusciranno nel loro intento di separarli.

I molteplici tentativi di Eva di creare una relazione con le figlie di Thomas o con le donne che gli gravitano intorno, si rivelano dei fallimenti.

Affiora in lei la sensazione di essere sola contro tutti e pensa di andarsene.

Ma come fare? In più è innamorata di Thomas, dipende da lui finanziariamente e ha inoltre paura di perdere l’affido dei suoi figli nel caso il giudice venga a conoscenza che si è nuovamente separata. Abbandonata dalla sua famiglia e dai suoi amici non vede dove può trovare rifugio con i suoi figli. Thomas è divenuto il suo pilastro, l’albero a cui appigliarsi, è spaventata per il futuro.

L’immagine che ha di sè stessa è ai vertici più bassi. Eva si re-identifica nelle attitudini del suo passato. La perdita dei differenti stati ha annientato la fiducia in sè stessa. Le parole denigranti sentite nella sua infanzia hanno ripreso spazio. Tutto ciò la fa sentire nuovamente la pecora nera della famiglia.

Ha perso la sua sicurezza interiore per risollevarsi.

Ricevere la notizia della sua displasia al 3° stadio è stato come ricevere un’elettroschoc.

Le domande esplodono: e’ una punizione per aver scelto l’amore e disfatto la famiglia? O per aver denunciato le manovre di marketing di cui era stata testimone?

La paura del cancro, della chemioterapia e la possibilità di morire riconnettono Eva alla sua forza di vita. Al di là dei protagonisti che insitono nell’avvelenare la sua atmosfera, lei ha tre bambini che non conta di lasciare orfani.

Comincia a ragionare e a calmarsi. Ha dato le proprie dimissioni dopo aver maturato una precisa decisione basata su dei fatti. E’ a conoscenza che nell’insieme degli ospedali periferici di Bruxelles gli oncologi hanno individuato da uno a due casi di cancro del collo dell’utero per anno. Lei non perderà un solo pezzettino del suo corpo per una così minima probabilità, oltre al fatto che non viene garantita la benchè minima guarigione. Inoltre, dopo avere lavorato per dieci anni nella farmaceutica e frequentato i reparti più invasivi dell’ospedale, credere che esistano delle malattie di guarigione o una saggezza alla malattia, le appare proprio difficile.

Thomas si risveglia e le chiede di sposarla. Per lui lei è l’unica. Le comunica il desiderio di aiutarla a sentirsi in sicurezza. Eva ha paura del matrimonio ma decide di fare di questo impegno un atto di guarigione. Comincia quindi a percepire il suo papillomavirus come un alleato. Grazie a lui osa dire sì al suo grande sogno: sposare l’uomo di cui è innamorata.

I vari detrattori/oppositori alla loro unione escono allo scoperto, traditi dalle loro stesse azioni. Thomas realizza, infine, le azioni poste da ognuno per separarli.

La coppia, quindi, affronta tutto insieme. Eva riprende piede ed impara a difendersi. La presenza del suo papilloma virus le da’ la forza di superarsi e di gestire efficacemente le difficoltà incontrate. Ha l’impressione che l’universo cospiri per lei e riesce a mollare le resistenze e dare fiducia alla vita.

Ripete un controllo. Nè evoluzione, nè regressione. Rifiuta nuovamente l’intervento chirurgico. Non sente più la necessità di attaccarsi al risultato o di fuggire, le basta affrontare la diagnosi.

Continua a lavorare sulla sicurezza interiore e lavora sull’immagine negativa nella quale l’esterno ha tentato di chiuderla, trasformando l’impatto delle frasi assassine ascoltate. Opera per sentirsi figlia dell’universo dalle infinite possibilità.

Rappresenta in immagini ciò che desidera vivere sul piano familiare, sentimentale e professionale. Si pone in un piano di coaching sviluppando le sue risorse nel quotidiano. La sua vita riprende una direzione chiara.

Il valore che si accorda aumenta, osa posizionarsi chiaramente in seno al suo contesto superando così la paura di perdere Thomas.

Abbandona il ruolo di matrigna che era stato definito ed accetta l’attitudine a non-ricevere dai suoi familiari e dalle sue figliastre. sostenuta da alcuni terapeuti chiave che la riconoscono nelle sue capacità e l’aiutano a prendere il suo posto di donna.

Eva sa che Thomas gioca un ruolo decisivo nella sua malattia, poichè è colui al quale, come tutte le altre, essa si appoggia. Malgrado i comportamenti chiari di Thomas agli occhi di ogni donna, Eva lo trascura. E’ divenuto sinonimo di pericolo per lei. Si stacca, cerca di rendersi autonoma…. Il loro contatto fisico diminuisce, il letto dei sogni si cancella.

E’ il senso che troverà nella sua genealogia che le permetterà di vedere le cose altrimenti.

Sua madre e sua nonna si sono ritrovate in situazioni simili. Anch’esse innamorate di uomini pubblici, vi sono rimaste attaccate per non farsi schiacciare dalle donne che sfarfalleggiavano loro intorno, ma hanno fallito. La loro unione non ha retto.

Si ricorda anche di quando sua madre ha divorziato, essendo in un contesto cattolico, è stata condannata ed abbandonata da tutti. Non le rimaneva che il suo nuovo compagno.

Eva realizza che questa emozione di vergogna e d’impotenza che sente è anche intessùta del trauma non risolto di sua madre.

Prende anche coscienza che la nuova moglie di suo padre ha subito la stessa sorte. Eva, la sua fratellanza ed un buon numero di persone hanno fatto di tutto per separarli.

Effettua degli atti di riparazione verso la nuova donna di suo padre e mette fine a tutte le coalizioni nella sua vita.

Comprende anche che quando Thomas non la difende chiaramente, le fa rivivere la sofferenza dell’infanzia, quando si sentiva invasa da tutta la struttura di abbandono che poneva in essere suo padre.

Realizza che la situazione della vita presente fa riemergere i più grandi traumi della sua infanzia e della sua genealogia. Mettendo ordine in ciò, esce dalle relazioni di dipendenza affettiva.

Lo studio della sua perinatalità chiarisce anche il desiderio di eliminazione del suo entourage ai suoi occhi. Comprende che tutto ciò è in collegamento al fatto che sua madre, durante tutta la sua gravidanza, ha desiderato perdere quella gravidanza non desiderata. E’ chiaro che Eva ha dovuto ben attaccarsi per contrastare questo desiderio materno. E’ nata cianotica, con il cordone avvolto a tre giri intorno al collo. E’ quindi abituata ad evolvere in seno a situazioni irrespirabili da sempre e la sua vita sulla terra non è altro che una continuazione di questo tipo di atmosfera. Al momento in cui scopre questo programma, ci gioca imparando a poter vivere la vita anche serenamente.

Eva ha finito di fare di ciò che accade un affare personale. Il tempo dove era facile farla sentire in colpa è finito, ora è in piedi.

Effettua un ulteriore controllo clinico. Il papilloma virus è volato. Il ginecologo le sottolinea che le ovarie sono splendidamente in forma. Le sarebbe veramente piaciuto avere un figlio con Thomas. L’approccio ai suoi 40 anni l’ha fatta molto riflettere su ciò. Ha finalmente scelto un’altra via di realizzazione con lui.

Qualunque cosa accada, Eva ha il vento in poppa. Risplende la donna che è divenuta attraverso ogni aspetto della sua vita. Si profila la donna solare che un giorno sarà.

Poco alla volta Eva si è creata una famiglia non-accessibile a coloro desiderosi di dividere il « noi » di luce. La loro coppia ci si può finalmente espandere.

Al terzo controllo Eva realizzava che il suo papilloma virus era stato come un coach VIP.

Ne estrae gli ingredienti dalla sua ricetta di guarigione e si ripromette di rimanere su questa via trasformatrice. Questa malattia le aveva rivelato ciò su cui doveva cambiare per sviluppare il suo vero potenziale e camminare verso l’abbondanza.

Le ci è voluto un anno e mezzo per non chiedere più a Thomas di fare ciò di cui non era capace: difendersi ed osare essere.

La reazione di fronte ai suoi « nemici » l’ha costruita e resa solida nel suo sè più profondo.

Oggi Eva riconosce che i piani di vita che si interconnettono sono divinamente ben fatti e che essere la paziente designata di un sistema è anche essere la più adatta ad osare la trasformazione. E’ consapevole che elevandosi si può uscire dalle paludi e perdonare. Che la bava dei rospi non affètta coloro che riescono a salire e a vibrare con le stelle. Che vi sono più strati nella guarigione e che l’avanzare verso queste saggezze di vita, aveva permesso alla malattia di allontanarsi senza lasciare spazio, all’orizzonte delle infinite possibilità, in seno ad ogni relazione.

Judith Van den Bogaert-Blondiau

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Caso clinico 3:

Liliane: Ascolto della propria genealogia e aggiustamenti relazionali

A 24 anni, non appena m’ impegnai con un’0rganizzazione Umanitaria per partire in Congo per un anno, scoprii che il mio striscio vaginale era « anormale ».

In quel periodo ero in una relazione con Marco, un uomo dominatore con il quale non avevo voglia di fare l’amore. Il mio corpo mi proteggeva da lui mese dopo mese, sviluppando delle micosi e delle cistiti. Mi appoggiavo a queste patologie per impedire ciò che vivevo come ovvie « invasioni » della mia intimità.

Il celibato non faceva proprio parte della mia carta d’identità nel mondo. Avendo una grande insicurezza affettiva, avevo sempre bisogno di un uomo nella mia vita, anche se non adatto a me.

Per paura di affrontare il vuoto, di fronte alla rottura, a volte anticipavo a volte accumulavo quindi delle relazioni.

Partire per il Congo fu un desiderio di rinnovamento che mi permise di attaccarmi a Marc come se la mia stessa vita dipendesse da lui.

Avevo paura di partire, credevo di non essere capace di arrivarci da sola.

Arrivata in loco, mi sono espansa velocemente sia sul piano professionale che personale. Fu presto evidente che la mia relazione con Marc non aveva più futuro, ma rimanevo sull’evasivo. Occorse la sua decisione di venirmi a trovare perchè io arrivassi a lasciarlo definitivamente. Per la prima volta, mi sentii bene senza uomo.

Nel tentativo di comprendermi, realizzai che, sin dal grembo materno, avevo sempre vissuto nella paura di ciò che, l’annunciare una mia decisione, avrebbe potuto provocare. Al 5° mese di gravidanza, mia madre non aveva ancora osato annunciare la mia presenza ai suoi suoceri. E quando perse le acque, ricevette degli invitati preferendo attendere il giorno successivo prima di annunciare che il mio arrivo era imminente. Già allora esistevo nell’ombra e sotto condizionale. Mia madre viveva nella paura delle conseguenze che si potevano ripercuotere nella relazione con i suoceri e suo marito, all’annuncio della mia venuta, presa da una paura inconsiderata di rifiuto o di rottura. Questo suo schema di obbedienza all’uomo e di dipendenza affettiva si è riprodotto in seguito nella sua relazione con mio suocero. Anche se maltrattata psicologicamente, essa resterà con lui sino alla sua morte.

Sempre cercando di comprendere i legami oscuri che uniscono gli uomini alle donne nel mio albero genealogico, continuai le mie esperienze sentimentali. Incontrai un uomo con il quale non potevo condividere assolutamente nulla, se non sul piano fisico.

Divenne il mio « fuck budy ». Per la prima volta, vivevo una relazione che non era improntata dalla dipendenza affettiva!

Dopo aver vissuto la chiusura in tutte le mie relazioni, assaggiai la libertà di osare essere. Fu una ventata d’aria nuova.

Nel gennaio 2005, sulle rive del fiume Congo, la freccia di cupido toccò il mio cuore e mi innamorai di Vincent.

Al principio avevo voglia che le cose fossero chiare ed osai annunciargli che se non desiderava una relazione seria, non sarebbe servito a nulla programmare qualunque cosa d’altro, ma Cupido aveva toccato anche lui, disse sì.

Osando rivelare i miei sentimenti, realizzai che avevo superato la mia paura di sentirmi dire no e di ritrovarmi da sola. Una forza parve essersi inserita in me, riuscii quindi a porre dei limiti ed a credere nella donna che ero divenuta. Seppure a tastoni e con le farfalle nello stomaco seguii questo idillio.

Qualche mese dopo il nostro ritorno in Belgio, un nuovo pap test mi annunciò che il papilloma virus aveva invaso il collo del mio utero.

Parallelamente, si approfondiva la serietà della nostra relazione. Ci impegnammo insieme in una missione professionale al Tchad, decidendo di convivere legalmente e comperammo un appartamento, come investimento, al nostro ritorno in Belgio.

Nel maggio 2007, il controllo si rivelò sempre positivo. Il ginecologo mi suggerì una colposcopia della cervice ed accettai.

Da lì in poi i controlli sono stati sempre negativi, nessuna recidiva.

Realizzai che nel tempo avevo sviluppato la capacità di vivere nella sicurezza affettiva, nella fiducia e nella libertà.

Analizzando a posteriori il tutto, penso che il grande sbilanciamento che ha prodotto in me il de-clik è stato causato in Tchad, quando siamo stati costretti ad una evacuazione in seguito a dei bombardamenti da parte dei ribelli.

Io attraversai l’altra sponda del Fiume mentre Vincent rimase nella città bombardata. Fu in virtù di questa esperienza, il confrontarmi con la morte, che mi fece decidere di lasciare il partner e scegliere la sicurezza per la mia vita, evento che peraltro armonizzò anche la nostra relazione. Non soffrivo più di dipendenza affettiva. L’amavo sì ma non al punto di rimanere attaccata a lui a rischio della mia vita.

Dopo questo evento, scelsi di partire due mesi in missione, da sola, in Niger e vissi questa separazione serenamente.

Anche la nostra successiva partenza in Africa del Sud fu un momento cardine.

Per questa missione vi era posto solo per me ma Vincent decise comunque di accompagnarmi e stare al mio fianco.

Attraverso quest’ennesima esperienza, potei finalmente esistere smettendo di rimanere nell’ombra. Questa volta occupavo un posto in piena luce, sia sul piano professionale che sentimentale.

Essere spalleggiata da Vincent mi aveva permesso di sentirmi rassicurata e di dispiegare la mia forza accumulando tre funzioni in contemporanea.

Per la prima volta nella storia della mia genealogia, un uomo e una donna uscivano dalle relazioni dominante-dominato e facevano squadra per dare il meglio.

Mi sentii libera e amabile. Ebbi la sensazione che il nostro amore avrebbe potuto affrontare tutte le prove. Avevo acquisito il diritto al rispetto e all’Amore.

Quando gli chiedevo « perchè mi ami? » mi rispondeva « è così lo sento dentro! »

Questa risposta mi rassicurava.

Lui era anche pronto ad avere dei figli, ma io non ancora. Questa voglia mi nacque poi durante un’ultima missione in un ospedale pediatrico.

Oggi ho 36 anni. Vincent ed io siamo genitori di due figli.

Valuto il percorso compiuto da quando avevo 24 anni.

Oggi so che l’espressione del corpo è la risposta di quanto si gioca dentro le relazioni. Ogni patologia spinge a degli aggiustamenti relazionali.

Realizzando ciò, anche se resto aperta alla medicina allopatica, è gioco forza constatare che da quando ho osato assumermi il rischio di affrontare i « no » ed il vuoto, non ho più avuto bisogno di ricorrerci.

Retrospettivamente, ho anche realizzato che l’annuncio di questa displasia della cervice ha risvegliato il mio istinto di sopravvivenza e che grazie a ciò mi si sono presentate le opportunità di guarire (gue-rire=ridere) nelle relazioni amorose. La vita ci vuole solo bene.

Non è l’atto chirurgico che mi ha risparmiato le recidive, bensì il mio cambiamento di stato mentale e gli atti che ho posto e che continuo ad attuare per scoprire la mia forza interiore, per potermi impegnare serenamente in ciò che mi fa sentire realizzata. Ci vuole tempo per decondizionarsi da quanto la società e l’ambito familiare ci insegnano sulla salute. Ascoltarsi, aprirsi e prendersi cura di sè si impara più velocemente da tutto quanto si riceve dalla culla in poi.

Forte delle mie esperienze ed in nome del pezzetto di collo dell’utero (cervice) che ho lasciato, sono felice di trasmettere un nuovo cammino di cura, quello di essere all’ascolto di sè stessi nel proprio ambiente. Di parlarsi ed agire nel rispetto di sè.

Liliane, con l’aiuto di Judith Van den Bogaert

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